Lo shock post Lehman Brothers (2008) e la crisi del debito sovrano (2011) hanno causato il rallentamento dell’economia della zona euro. Ciò ha avuto gravi ripercussioni sull’erogazione del credito bancario alle imprese. A soffrire di più sono stati quei contesti bancari la cui struttura è stata ulteriormente indebolita dall’aumento di sofferenze.
Restrizione del credito bancario: uno sguardo al di fuori dell’Italia
Per capire la portata del credit crunch in Europa, l’analisi si concentra sui dati della BCE riguardanti lo stock di prestiti alle imprese da parte delle banche francesi, tedesche, olandesi, italiane e spagnole.
La riduzione dell’offerta di credito bancario ha interessato più economie all’interno dell’Unione europea. I principali istituti di credito europei sono riusciti a reagire alle crisi del 2008 e del 2011 mantenendo lo stock complessivo dei prestiti su livelli stabili (o aumentandolo). Per le banche italiane e spagnole, invece è andata in un altro modo. Qui, infatti, il volume complessivo dei finanziamenti alle imprese si è ridotto ad un tasso medio annuo pari rispettivamente al 2% e al 7%.
Il peso dei crediti deteriorati
Come mai alcuni stati europei hanno registrato tassi di crescita positivi e altri negativi? Una prima spiegazione si può trovare nella diversa esposizione degli istituti bancari nazionali ai crediti deteriorati, meglio conosciuti con la sigla NPL (Non Performing Loans). Si tratta, essenzialmente, di esposizioni dove le banche soffrono difficoltà nella riscossione dei crediti.
In Germania, Francia e Olanda, l’NPL ratio (il rapporto tra sofferenze e totale degli attivi bancari) è rimasto sotto soglie di controllo. In Italia e Spagna, invece, è aumentato progressivamente, arrivando a toccare il 14% e il 4,5% (fonte: World bank). In entrambi i Paesi, questo incremento ha avuto il suo apice soprattutto a partire dal 2010, quando le banche hanno iniziato a ridurre i finanziamenti alle imprese. Ciò conferma l’esistenza di una correlazione tra gli NPL e il calo di nuovi prestiti erogati da parte del canale bancario.
Correlazione tra NPL su totale attivi e stock prestiti alle imprese
La presenza di sofferenze ha imposto agli istituti di credito delle svalutazioni di bilancio che hanno generato una revisione delle condizioni dei prestiti e la diminuzione di nuove erogazioni. Ha influito negativamente anche l’introduzione da parte del legislatore europeo di requisiti patrimoniali e reddituali sempre più stringenti.
Lo stock di NPL, insieme a requisiti contabili sempre più stringenti, ha reso dunque necessaria l’adozione di criteri più rigidi sull’erogazione del credito alle imprese. Basti pensare al fatto che in Italia, secondo dati di PWC, nel primo semestre del 2018 il segmento “Corporate & SME” ha rappresentato la maggior parte dei crediti deteriorati. Alla fine del 2017, il rapporto tra NPL e totale degli attivi del sistema bancario italiano si attestava al 14% rispetto alla media europea del 3,72%.
L’incremento degli NPL è stato causato anche da fattori “sistemici” come ad esempio le inefficienze nel recupero dei crediti, la lentezza dei procedimenti giudiziali civili e l’assenza di un mercato secondario.
I timori sull’accesso al credito da parte degli imprenditori
La “Survey on the access to finance of enterprises” della BCE evidenzia come nei paesi con sistemi finanziari più solidi, il funding non sia tra le maggiori cause di preoccupazione tra gli imprenditori.
Alle imprese è stato chiesto di indicare l’importanza dell’accesso al credito su una scala da 1 (non importante) a 10 (importante). Le PMI greche considerano l’accesso ai finanziamenti come la principale causa di preoccupazione (6,2), seguite da quelle portoghesi (5,4) e da quelle Italiane e irlandesi (4,7).